Diocesi di Pitigliano - Sovana - Orbetello

Alcuni spunti per condividere e riflettere con la comunità diocesana

LA CHIESA CHE EDUCA SERVENDO CARITÀ
 
 
Al PalaFiuggi
A confronto oltre 600 tra direttori e collaboratori delle 220 Caritas diocesane
Anche la nostra delegazione presente al Convegno e alla Celebrazione dei 40 anni di Caritas Italiana.
Alcuni spunti per condividere e riflettere con la comunità diocesana.
 
Quasi 3000 centri di Ascolto diocesani e parrocchiali, 191 Osservatori diocesani delle povertà e delle risorse, 196 Laboratori diocesani per la promozione delle Caritas parrocchiali. 580 centri di erogazione beni primari, 130 servizi residenziali per le persone senza dimora,106 mense, 78 servizi residenziali per famiglie in difficoltà, 66 centri di ascolto per immigrati. E ancora 68 fondazioni antiracket e antiusura, 806 iniziative anti-crisi economica attive presso 203 diocesi.
Una galassia che parla di percorsi, azioni, opere e di servizi, sempre in un’ottica di animazione alla testimonianza della carità, in fedeltà alla prevalente funzione pedagogica che caratterizza l’organismo pastorale Caritas.
«Agire per esserci e per farci essere l’intera comunità». Così S.E. Mons.Giuseppe Merisi ha sintetizzato l’obiettivo della Caritas, ricordando come da 40 anni l’impegno di Caritas Italiana per i diritti, la legalità, le politiche sociali, l’inclusione, il bene comune ha puntato proprio a formare comunità capaci di vivere e agire dentro la storia, nella quotidianità. Nel richiamare segnali preoccupanti, come «la crescente vulnerabilità di persone e famiglie, la precarietà del mondo giovanile, la criticità del Mezzogiorno, la necessità di guardare in modo nuovo la vita della società civile e delle sue istituzioni, le incertezze del contesto europeo e il fenomeno dell’immigrazione nell’ottica globale», il vescovo ha tracciato le priorità di un percorso che Caritas Italiana è chiamata a seguire con rinnovato slancio, tra memoria, fedeltà e profezia.
Un ruolo impegnativo, ma essenziale – come ha ricordato S.E. Mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, ribadendo la necessità di «tornare alle sorgenti della virtù della carità», una delle «tre dimensioni fondamentali della pastorale e della vita cristiana: annuncio, celebrazione e testimonianza». L’arcivescovo ha sottolineato anche l’urgenza di ampliare lo sguardo per «una globalizzazione della solidarietà e dei connessi valori di equità, giustizia e libertà» di cui «l’Europa deve farsi parte attiva»
l’intervento di S.E. Mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza episcopale italiana che ha aiutato i convegnisti a collocare il cammino della Caritas dentro gli Orientamenti Pastorali per il 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo.
Orientamenti di cui – ha sottolineato il vescovo – la Caritas è «a tutti i suoi livelli, uno dei destinatari privilegiati». Mons. Crociata ha inoltre ribadito che «con la sua pedagogia dei fatti, la Caritas rappresenta un’esperienza peculiare in cui si ripropone una modalità insostituibile del processo educativo, quella pratica. Anche il mondo dei valori, degli ideali, della fede ha bisogno di passare attraverso il crogiuolo dei comportamenti e dell’agire per essere assimilato». Infine il segretario generale ha delineato una fondamentale pista di impegno ricordando che alla Caritas «spetta non soltanto l’impegno del presente, ma la profezia del futuro». Spetta «in modo privilegiato, riconoscere nei segni dei tempi le tracce dell’azione dello Spirito, – per rilanciare con coraggio il servizio educativo».
Dopo aver ringraziato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per il messaggio che ha inviato ieri ai convegnisti evidenziando l’importante ruolo della Caritas per la coesione sociale del Paese nell’ottica del bene comune, il presidente di Caritas Italiana, S.E. Mons. Merisi, a nome dei partecipanti ha inviato un messaggio di saluto al Santo Padre.
 
In un ‘A tu per tu’ con l’inviato di Avvenire Paolo Lambruschi, il primo presidente di Caritas Italiana, mons. Giovanni Nervo, ne ha ripercorso la storia, rilanciandone con forza il ruolo.
1) Perché 40 anni fa Paolo VI sollecitò la Cei a dar vita a un proprio organismo che coordinasse le attività caritative e assistenziali della Chiesa?
La Caritas nasce dal Concilio, come strumento di rinnovamento nella vita della Chiesa. Paolo VI nel primo convegno delle Caritas diocesane ci disse: ‘Non è concepibile che il popolo di Dio cre-sca secondo lo spirito del Concilio Vaticano II se tutti i membri della comunità cristiana non si fanno carico dei bisogni e delle necessità degli altri membri’. Prima della Caritas in Italia c’era stato per oltre trent’anni un grande organismo caritativo e assi-stenziale, erogatore di beni e servizi, la Pontificia Opera Assistenza (Poa); era dipendente dalla Santa sede, riceveva gli aiuti dai cattolici americani ed era lo strumento della carità del Papa per la Chiesa italiana. Nel periodo della guerra e del dopoguerra fu provvidenziale per la Chiesa italiana. La Poa era or-ganizzata e guidata da un grande apostolo della carità, mons. Ferdinando Baldelli, che forse la Chiesa italiana ha dimenticato troppo presto e che in questo quarantesimo è giusto e doveroso ricordare. Cambiata in Italia la situazione, Paolo VI nel 1970 sciolse la Poa e sollecitò la Cei a darsi un pro-prio organismo pastorale per promuovere e coordinare l’attività caritativa nella Chiesa italiana. Così nacque la Caritas.
2) Qual era il clima di quegli anni e che cosa cambiò culturalmente nella Chiesa dopo la nascita della Caritas?
Il clima era di chi era abituato a ricevere ed era poco educato a dare. Ricordo che una volta andai da un vescovo che era stato incaricato dalla sua Conferenza episco-pale di seguire l’avvio delle Caritas diocesane nella sua regione, andavo per chiedergli suggeri-menti su come si potevano aiutare le diocesi a istituire e avviare le Caritas diocesane. Mi chiese: ‘Che cosa ci date?’. ‘Nulla, eccellenza’, gli risposi. ‘E allora perché ci siete?’. Occorreva eviden-temente un profondo cambiamento culturale. Fu provvidenziale e profetico l’indirizzo che ci diede Paolo VI nel primo convegno nazionale del-le Caritas diocesane, quando ci indicò la prevalente funzione pedagogica della Caritas.
3) Come venne accolta dalla gente comune e dalla comunità cristiana?
La gente comune capì subito il messaggio: era quello che aspettava dalla Chiesa. Un segnale provvidenziale ci giunse mentre stavamo per iniziare, alla Domus Mariae, il primo convegno nazionale. Mi si avvicinò una signora anziana, vestita dimessamente, che mi consegnò una busta con la somma di 1.200.000 lire: erano gli arretrati della sua pensione sociale. Anche le comunità parrocchiali cominciarono a cogliere il messaggio, cioè la prevalente funzione pedagogica della Caritas. Ricordo il modo esemplare con cui una Caritas parrocchiale di Lucca promosse nella sua comu-nità l’avvento di fraternità. Fece anzitutto alla comunità una proposta molto forte di condivisio-ne fondata sulla parola di Dio. Significativa poi, ed esemplare, la destinazione delle offerte raccolte. Ne fecero cinque parti: una parte per i poveri della propria parrocchia, una parte per i poveri di una parrocchia più povera di periferia, una parte per un fondo assistenziale della diocesi, una parte per una microrealizzazio-ne per il terzo mondo, una parte per i poveri di una comunità valdese presente in città. Ecco un modo esemplare con cui una Caritas diocesana aveva attuato la prevalente funzione pe-dagogica.
4) Quali furono a suo avviso i momenti che fortificarono la Caritas che muoveva i primi passi?
Quando la Cei ci incaricò di avviare la Caritas – eravamo tre sacerdoti: mons. Salvi, mons. Mura-tore e io come capocordata – ci chiedemmo: come faremo? Ci diedero coraggio due pensieri: la Chiesa è di Dio, se Dio vuole la Caritas ci aprirà la strada. L’altro pensiero: potevamo lavorare insieme. In realtà il Signore ci ha condotti per mano. Nel momento in cui nel quarantesimo della Caritas facciamo memoria del passato, ricordo alcuni fatti che sono stati determinanti per l’impostazione a l’avvio della Caritas Italiana.
a) Anzitutto il citato discorso di Paolo VI al primo convegno nazionale delle Caritas diocesane (settembre 1972). Ero andato dal maestro di camera, mons. Monduzzi, poi cardinale, per chiedere l’udienza del Papa. Mi chiese a bruciapelo: ‘Che cosa desiderate che vi dica il Papa?’. Preso alla sprovvista, im-provvisando, gli dissi: ‘Che ci illustri e commenti lo statuto che ci aveva dato la Cei’. Il Papa allargò gli orizzonti e approfondì i contenuti e ci diede l’interpretazione autentica più auto-revole di quello che il Signore ci chiedeva. con il progetto della Caritas. Quel discorso di Pao-lo VI fu per noi il sostegno più forte nel nostro lavoro. lo penso che tutte le persone che assumono compiti e responsabilità nella Caritas, a tutti i li-velli, nazionale, diocesano, parrocchiale, dovrebbero conoscerlo e meditarlo bene, perché anche oggi è pienamente attuale.
b) Un altro momento fondativo, meno conosciuto, fu un ritiro che padre Pelagio Visentin, mo-naco benedettino di Praglia, teologo biblista, tenne ai delegati regionali sui fondamenti teo-logici e biblici del nostro lavoro.
Quelle riflessioni sono state pubblicate dall’editrice Ave (1995) con il titolo ‘Vivere nella cari-tà’. Le scorse settimane ne ho fatto oggetto di meditazione e ho trovato quei contenuti attualis-simi e fondamento sicuro di speranza. Nel quarantesimo della Caritas italiana proporrei di farne omaggio a tutti i responsabili della Caritas. Padre Pelagio ci ricordava che la Chiesa è istituzione e mistero. La Caritas, organo pastorale della Chiesa, si presenta come Chiesa istituzione, ma la sorgente della sua vitalità ed efficacia è nel mistero della presenza di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo che anima la sua Chie-sa.
c) Fu poi per noi provvidenziale la presenza alla CEI del segretario generale mons. Enrico Bar-toletti, che ci aiutò a superare alcune difficoltà iniziali nei rapporti con la CEI, che forse ave-va dato vita alla Caritas italiana più per fedele obbedienza a Paolo VI, che l’aveva fortemente voluta, che per propria maturata convinzione e vedeva forse questo figlio crescere un po’ troppo in fretta.
In realtà furono provvidenziali anche queste iniziali resistenze della Cei, perché ci aiutarono ad evitare il pericolo, ed era quello che giustamente temeva la Cei, che si riproducesse il fe-nomeno della Poa come grande ente assistenziale.
d) Anche le grandi calamità, nelle quali la Caritas italiana fu sempre prontamente presente, fu-rono uno stimolo provvidenziale per aiutare le comunità cristiane ad aprirsi alla sofferenze del mondo e a fare esperienza dì condivisione e di accoglienza; penso ad esempio ai gemel-laggi con le comunità colpite dal terremoto del 1976 in Friuli e all’accoglienza dei profughi vietnamiti negli anni ottanta.
5) Cosa comportò il servizio civile degli obiettori di coscienza in Caritas?
Che cosa ha dato al Paese? Il servizio civile degli obiettori di coscienza fu una grande esperienza di educazione alla pace e alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, che lasciò un segno nella . formazione e nella vi furono molti, oltre 100.000. Quell’esperienza potrebbe essere recuperata, almeno parzialmente, anche oggi nel servizio civile volontario, se usato e organizzato bene. Purtroppo la crisi economica ha tagliato le risorse per questo servizio, oppure chi deve gestirle preferisce destinarle alla mini-naia, per istruire ad usare le armi: è una cosa che non possiamo non denunciare come uno scandalo.
6) E oggi la Caritas è in grado di contribuire al ricambio della classe dirigente, non solo di quel-la politica, in Italia?
La Caritas può contribuire al ricambio della classe dirigente promuovendo, formando e coltivan-do l’esperienza di un volontariato autentico, che sappia trasmettere i valori di servizio, di gratui-tà, di promozione umana che sperimenta nel servizio di volontariato anche nella normale attività professionale, sindacale, politica, amministrativa,
7) Nei tempi non facili che ci attendono come declinare la sfida dell’opzione preferenziale per i poveri da parte della Chiesa?
L’opzione preferenziale dei poveri è l’obiettivo e la qualifica specifica della Caritas. Quando la Cei, in obbedienza a Papa Paolo VI, decise di istituire la Caritas, ci fu discussione all’interno del Consiglio permanente della Cei. Il cardinale Pellegrino, arcivescovo di Torino, non era del tutto favorevole perché, diceva: il compito di far crescere la carità nella Chiesa è compito di tutta la Chiesa e di tutti gli organismi pastorali e non può essere delegato ad una istituzione come la Ca-ritas. Questa provvidenziale riflessione del cardinale Pellegrino aiutò a mettere in evidenza nello statu-to la finalità specifica della Caritas: ‘Promuovere la testimonianza della carità della comunità ec-clesiale italiana con particolare attenzione agli ultimi”. Ciò vuoi dire farsi voce dei poveri all’interno della Chiesa e nella società civile. Anche il rapporto annuale che ogni anno la Caritas fa in collaborazione con la Fondazione Zan-can sulla povertà ed esclusione sociale, adempie proprio a questo scopo. Farsi voce dei poveri certamente vuoi dire sollecitare, promuovere e organizzare l’assistenza nei momenti dì grave ca-lamità, come nelle recenti alluvioni, ma anche tutelare i diritti dei poveri. È significativo il titolo che Caritas e Fondazione Zancan hanno dato al Rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia: ‘Poveri di diritti’, che è un fedele riscontro all’insegnamento del Concilio, che nel decreto sull’apostolato dei laici ripete quello che già aveva detto la Quadrage-simo anno: non dobbiamo dare come carità quello che è dovuto per giustizia. Farsi voce della dignità e dei diritti dei poveri significa anche che, di fronte ad una situazione in cui in Italia 8 milioni di cittadini, il13% della popolazione, si trovano in povertà relativa, e fra questi 3 milioni vivono in povertà assoluta e il 25% della popolazione vive a rischio di povertà, non sì può consentire che una persona allora responsabile come l’ex presidente del Consiglio, in una conferenza stampa internazionale, dica che in Italia c’è l’abbondanza e i ristoranti sono pie-ni e gli aerei hanno tutti i posti esauriti. Espressioni del genere sono una offesa alle sofferenze e alla dignità dei poveri.
Il tema trova spazio anche nella tavola rotonda di questa sera, in cui, di fronte al tema della soli-darietà e sussidiarietà viene posta la domanda: ‘Che ne sarà di noi poveri?’. Se la Caritas italiana nel suo quarantesimo anno di vita ponesse le istituzioni competenti e responsabili di fronte al problema dell’impoverimento e le sollecitasse a formare un piano serio ed efficace contro la po-vertà, non sarebbe anche questo profezia?
8) Quale raccomandazione lascerebbe alla Caritas per i prossimi quarant’anni?
Mantenere sempre fedeltà all’indirizzo dato da Paolo VI alla Caritas: la sua prevalente funzione pedagogica, sia in rapporto al mondo ecclesiale, come a quello civile. È fondamentale la pedago-gia dei fatti: senza i fatti la pedagogia diventa ideologia astratta e inefficace. Ma i fatti possono assorbire talmente le attenzioni e le energie da far dimenticare la prevalente funzione pedagogica della Caritas. È il rischio da cui difendersi con la riflessione, lo studio, la meditazione. Per questo mi sono permesso di indicare e suggerire lo studio e la meditazione sul discorso del Papa del 1972 e le riflessioni teologiche e bibliche di padre Pelagio Visentìn nel volumetto ‘Vivere nella carità’. Solo con una profonda spiritualità la Caritas può continuare a cogliere i segni dei tempi ed essere profezia.