Diocesi di Pitigliano - Sovana - Orbetello

Omelia nel trigesimo del naufragio della Costa Concordia


Come risuonano particolarmente intense le parole del Salmo 17: ‘Ti amo Signore, mia roccia…Mi circondavano flutti di morte’nel mio affanno invocai il Signore’il Signore fu il mio sostegno; mi portò al largo’perché mi vuol bene’ in questa serata di preghiera tutta intessuta di sentimenti di cristiano suffragio per le vittime del disastro del 13 gennaio, di sentimenti di gratitudine profonda per la popolazione dell’Isola del Giglio, per tutti coloro che si sono adoperati con coraggio e tempestività per abbassare la soglia delle conseguenze negative: forze civili e militari, nessuna esclusa, la Protezione civile, la Provincia, il Comune dell’Isola, come anche quello di Orbetello e di Monte Argentario, il volontariato, i sacerdoti e le suore, i dirigenti della Costa Crociere e il personale della Concordia: un luminoso mosaico della solidarietà.


Quali pensieri possono abitare la mente e il cuore in questa Eucaristia così partecipata e vissuta? Difficile districarli con ordine; avremmo bisogno anche noi di un profeta come Daniele al quale chiedere, come fece il re Nabucodonosor per sapere il significato del suo incubo,: ‘puoi darcene la spiegazione?’; anche noi abbiamo bisogno della luce della Parola di Dio che ci spieghi il senso dell’incubo che abbiamo vissuto e ci ammaestri. Nella cultura orientale e veterotestamentaria il sogno è ritenuto come il canale di trasmissione di un messaggio di Dio. Signore che vuoi dirci, che cosa vuoi che impariamo? Sono profondamente convinto che il seguito della storia del profeta Daniele ci aiuta: ‘una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla, e li frantumò’: sicuramente dobbiamo riaffermare il senso di profondo sgomento di fronte all’imprevisto che ci sorprende nell’ordinarietà dei giorni, che irrompe nella routine della vita di ognuno e in un attimo la trasforma irreversibilmente. Che lezione straordinaria sulla caducità della vita, sull’umana piccolezza e fragilità! Che invito austero a non superare i confini delle nostre possibilità, ad impegnarsi responsabilmente. Nella mia prima visita all’Isola del Giglio, poco dopo la sciagura, una giornalista mi ha fatto la domanda: ‘quali riflessioni le suscita quanto accaduto’: ricordo che abbozzai una risposta a caldo alla quale mi rendo conto che solo adesso sto rispondendo con più calma. Nulla va dato per scontato, per assolutamente sicuro: la vita non è nostra e non la possiamo imbrigliare nei nostri schemi manipolatori. Viviamo in una cultura tecnocratica dove tutto sembra programmato, gestibile e prevedibile, dove tutto sembra nelle mani dell’uomo, prometeico controllore del corso degli eventi; poi, qualcosa si spezza e va in frantumi e mostra il suo fondamento fragile, argilloso. Che sia una nave, un corpo umano giovane e sano, un grattacelo svettante, un treno ad alta velocità, un aereo di linea fiammante , tutto può cedere, ogni meccanismo può interrompersi, in qualsiasi momento. Un terremoto, un’alluvione, un tempo di temperature rigide con bufere di neve, può determinare lo stile quotidiano di stare al mondo; tutto può ripeterci che noi non siamo Dio! Lezione profonda di umiltà, lezione che suggerisce l’improcrastinabile urgenza di introdurre nella nostra percezione del mondo il senso del limite, il concetto di ‘limitazione’ delle nostre imprese tecno-scientifiche e del nostro modo di prendere la vita superficialmente con l’amnesia dei nostri ‘piedi di argilla’. Il recupero della consapevolezza che la nostra vita è nelle mani di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, del mare e degli abissi; riconoscere la sua Signoria, diventa il punto di partenza per la costruzione di una vera etica della responsabilità degli uomini verso gli altri uomini e verso l’ambiente. Già negli anni ’70 il filosofo Hans Jonas lanciava la sfida di queste riflessioni, rivelatesi radicalmente profetiche, nel suo saggio ‘Dalla fede antica all’uomo tecnologico’.

Sul mare della vita e della storia, Maria risplende come Stella di speranza. Non brilla di luce propria ma riflette quella di Cristo, Sole apparso all’orizzonte dell’umanità: seguendo la Stella di Maria possiamo orientarci nel viaggio e mantenere la rotta verso Cristo, soprattutto nei momenti più oscuri e tempestosi. Questa sera ci rivolgiamo a te Vergine Maria, modello di fede e di speranza con quegli stessi sentimenti con cui nel lontano 1958 quest’Isola è stata solennemente a te consacrata; ci rivolgiamo a te Stella del mare, la cui effige in un bassorilievo marmoreo sta adagiata in una grotta subacquea nei pressi degli scogli delle ‘Scole’ dalla seconda metà degli anni ottanta; con le parole dell’ antico inno ti invochiamo: ‘Scaccia da noi ogni male, /chiedi per noi ogni bene’. A te affidiamo le vittime della tragedia perché nel tuo abbraccio materno giungano alla presenza di Dio, nel suo Paradiso; a te affidiamo quest’Isola oggi più bella per lo splendore della sua bontà, questi uomini oggi più uomini per lo splendore della loro abnegazione, queste famiglie colpite dal dramma della perdita dei loro cari, ma anche toccate dalla forza preziosa del tuo amore e invochiamo per tutti l’abbondanza delle consolazioni di Dio. Con fede ancora a te diciamo: ‘Donaci giorni di pace, / veglia sul nostro cammino, / fa’ che vediamo il tuo Figlio, / pieni di gioia nel cielo’ Amen.

 



+ Guglielmo Borghetti

Vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello