Diocesi di Pitigliano - Sovana - Orbetello

Omelia nella Notte di Natale


La festa più antica della cristianità non è il Natale, ma la Pasqua; dal punto di vista teologico la Pasqua costituisce il centro dell’anno liturgico, ma il Natale è la festa più umana della fede, perché ci fa percepire in modo profondissimo l’umanità di Dio. La festa del Natale ha assunto  forma chiara solo nel IV secolo, quando rimosse la festa pagana dell’invincibile dio Sole e insegnò a concepire la nascita di Cristo come la vittoria della vera luce. Il calore umano particolare che durante il Natale tanto prende il nostro cuore e ci commuove al punto che  questa festa ha superato nel cuore della cristianità la Pasqua, si è sviluppato soltanto a  partire dal Medioevo e fu  San Francesco d’Assisi a contribuire in maniera determinante, con il suo profondo amore per l’umanità santissima di Gesù, per il Dio con noi, a introdurre questa novità. Il suo primo biografo Tommaso da Celano, racconta nella sua seconda biografia  che ‘al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambin Gesù e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato a un seno materno. Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza, alla maniera dei bambini. Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca‘ (Tommaso da Celano, Vita seconda, in Fonti francescane, n. 199, p. 711ss). Mosso da questa sua intima devozione Francesco giunge a ideare il presepe! Ciò che lo spingeva era il desiderio di sperimentare in modo vivo e attuale il mistero di Betlemme, di sperimentare la gioia della nascita del Bambino Gesù e di comunicarla ad ogni uomo. Di quella notte del presepe Celano parla nella sua prima biografia in modo estremamente toccante. Il tutto accadde a Greccio, piccola località nella valle di Rieti, in Umbria nel 1223. Secondo  le indicazioni date da  San Francesco furono introdotti nella notte santa un bue e un asino: aveva detto ‘ vorrei rappresentare il bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e  l’asinello’ (Tommaso da Celano, Prima vita , in Fonti Francescane, n. 84, p. 477). Da quel momento il bue e l’asino fanno  parte di ogni presepe. Ma da dove derivano propriamente? Nel Nuovo Testamento non c’è traccia. Il bue e l’asino non sono solo i prodotti di una devota fantasia; sono entrati a far parte dell’evento natalizio attraverso la fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento, Primo e Secondo Patto. ‘Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende’( Cfr. Is 1,3). I Padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che allude al nuovo popolo di Dio, alla chiesa fatta di ebrei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, ebrei e pagani, erano come buoi e asini, senza ragione e senza conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, ora riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore. Nell’iconografia medievale del Natale ai due animali sono dati volti quasi umani, quasi espressivi della consapevolezza e della devozione davanti al mistero del Bambino: i due animali erano considerati la sigla profetica dietro la quale si nasconde il mistero della chiesa, il nostro mistero, dal momento che di fronte all’Eterno siamo buoi e asini a cui nella notte santa si aprono gli occhi per riconoscere nella mangiatoia il loro Signore. Ma lo riconosciamo veramente? Il bue e l’asino riconoscono, ‘ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende’ Chi è oggi bue e asino, chi ‘mio popolo’ che non comprende? Perché la mancanza di ragione riconosce e la ragione è cieca?  Torniamo al primo Natale: chi non riconobbe e chi riconobbe. Erode non riconobbe, assetato dalla sete di potere e dalla conseguente mania di persecuzione. ‘Con lui tutta Gerusalemme’ (Mt 2,3). A non riconoscere furono gli uomini in morbide vesti, eleganti, i dotti, i biblisti ‘ specialisti nella spiegazione delle Scritture- che conoscevano molto bene il passo biblico ”E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti.’ (Mi 5,2)- ma non compresero nulla. A riconoscere furono ‘il bue e l’asino’, i pastori, Maria e Giuseppe, i Magi. Le persone eleganti e sapienti non ci sono nella stalla: là sono di casa appunto il bue e l’asino. Qual è la mia situazione? Sono troppo lontano dalla stalla? Troppo raffinato per una cosa del genere? Diventato cieco per il bambino da non percepire più nulla di lui? Non siamo forse anche noi troppo arroccati in Gerusalemme, nel palazzo, chiusi in noi stessi, nella nostra autosufficienza, per poter udire di notte la voce degli angeli, andare e adorare? ‘Gesù veniva risuscitato nel cuore di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria‘ (Tommaso da Celano , Vita prima n.86, p. 479). In questa notte guardiamo perciò il volto del bue e dell’asino e domandiamoci: io comprendo? Proprio come fece San Francesco a Greccio chiediamo al Signore di infondere nel nostro cuore quella semplicità che scopre nel Bambino deposto nella mangiatoia il Signore della Vita. Allora potrebbe succedere anche a noi quello che il Celano racconta a proposito dei partecipanti alla ‘messa di mezzanotte’ di Greccio: ‘ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia’ (idem, n.86, p. 479).
                                                                  + Guglielmo Borghetti, Vescovo