Diocesi di Pitigliano - Sovana - Orbetello

Omelia nella Veglia di Pentecoste

1. E’ bello questa sera ritrovarsi nella nostra Antica Cattedrale a vivere questa Eucaristia particolare: è la Veglia di Pentecoste! Riproduciamo in un certo senso la condizione cenacolare che sempre connota la condizione della Santa Chiesa che cammina nel tempo: con gli Apostoli, con Maria, imploriamo il dono dello Spirito Santo Dominum et vivificantem, che è Signore e da la vita! Questa è la supplica fondamentale della comunità dei credenti: l’implorazione del dono dello Spirito! Senza lo Spirito siamo ossa inaridite, vite spente, incapaci di carità creativa, senza speranza, pigri nella missione. Per questo fin dal mio arrivo in mezzo a voi come Pastore di questa Chiesa, ho sottolineato quanto sia decisivo vivere nel clima cenacolare l’attesa e l’accoglienza dello Spirito Santo per essere infiammati di ardore missionario (cfr Lettera pastorale, La Speranza non delude, 28).

2. La pagina evangelica proclamata si colloca nel contesto della Festa delle Capanne (Sukkoth in ebraico) – chiamata anche “Festa del raccolto” e “Festa della nostra gioia”-, cade proprio in coincidenza con la fine del raccolto quando si svolgevano grandi manifestazioni di gioia nel mese di Tishri: è una delle tre grandi feste dell’anno giudaico.  E’ importante conoscere il significato tipologico e profetico delle festività ebraiche, ci aiuta a comprendere la cornice di molti degli eventi descritti nei Vangeli e i riferimenti impliciti nelle frasi di Gesù quando parla al popolo di Israele. L’istituzione della Festa delle Capanne è narrata nel libro del Levitico: ‘il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla agli Israeliti dicendo: “Il giorno quindici di questo settimo mese sarà la festa delle Capanne per sette giorni in onore del Signore’ (Lv 23,33-34). ” Dimorerete in capanne per sette giorni; tutti i cittadini d’Israele dimoreranno in capanne, perché le vostre generazioni sappiano che io ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho condotti fuori dalla terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lv 23,42-43). La Festa delle Capanne ricordava la transitorietà della dimora di Israele nel deserto, ma anche della condizione umana. Una delle cerimonie tipiche di questa festività era l’offerta dell’acqua che veniva fatta ogni mattina. L’acqua veniva attinta e portata in processione al Signore, quindi versata nel recipiente posto in prossimità dell’altare del Tempio. Era un momento di gioia particolare, il popolo cantava e danzava al suono di una musica festosa: il rito di attingere acqua era simbolo di gioia. L’ultimo giorno della festa non c’era il rito di attingere acqua: i sacerdoti giravano sette volte intorno all’altare con l’acqua attinta alla sorgente di Siloe. E’ proprio nel momento di maggiore solennità di questa Festa, nel suo ultimo giorno, che Gesù si leva in piedi e grida: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva.” Il contenuto del suo grido è un invito a venire a lui e a bere, una promessa a colui che viene a lui e crede. Gesù si autorivela come fonte di acqua viva, proclama di essere Lui il Messia promesso: era alla sua venuta che faceva riferimento la roccia percossa nel deserto che permise ad Israele di dissetarsi! (cfr Es 17,1-17 e Num 20,2-11). Era in Lui che si avveravano le parole di Isaia: “Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12,3). Ezechiele dice che questa sorgente uscirà dal Tempio alla fine dei tempi (Ez 47, 1-12) e Zaccaria la vede uscire dal santuario ‘in quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità'(Zc 13,1). Gesù è la fonte, il nuovo Tempio da cui sgorga per i credenti l’acqua viva dello Spirito Santo. Addirittura c’era una tradizione che collocava la manifestazione del Messia nella Festa delle Capanne, nel mese di Tishri. Secondo il profeta Zaccaria il giorno del Signore è la Festa delle Capanne (cfr Zc 14). In quella occasione dunque Gesù si manifesta Messia!

3. Il profeta Ezechiele nel cap  47 parla dell’acqua che sarebbe sgorgata dal Tempio e scorrendo verso il deserto avrebbe tutto purificato e fertilizzato. Gesù si è già presentato due volte come sorgente di vita in opposizione a un’acqua in cui gli uomini cercavano la vita (4,13-14; 5,1-9). L’acqua vera, quella che davvero disseta ed è fonte di vita, sgorgherà dal suo costato squarciato, quando, chinato il capo, consegnerà lo Spirito (19,30-34). Gesù è colui a cui tutti possono accostarsi per nascere dall’acqua e ricevere quel dono dello Spirito che li rende figli di Dio, creature nuove. È un’acqua che è per tutti fonte di vita eterna. Anzi il credente che beve diviene anch’egli a sua volta sorgente di vita attraverso il suo legame esistenziale con Cristo, e perciò deve comunicare ad altri la stessa vita. Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium dice che abbiamo bisogno di ‘persone-anfore per dare da bere agli altri'(86)!.

4. La sete è l’unico bisogno nell’uomo che supera persino la fame. Si può morire molto prima di sete che di fame. C’è un Salmo stupendo che dice: “Come la cerva desidera i corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente … ” (Salmo 42:1-2). Oggi c’è sete di Dio? C’è davvero il volere di cercare il bene e compierlo? Quanti oggi sono disposti ad accantonare la propria ricerca di piaceri e di ricchezze per la ricerca di Dio? Siamo sgomenti per l’ennesimo caso di corruzione pubblica ‘il Mose’! Niente in questo mondo riesce a soddisfare, niente appaga veramente: quando abbiamo ottenuto quello per cui abbiamo lavorato e faticato tanto, appena ci fermiamo un attimo dalla nostra corsa, quel vuoto interiore si ripresenta più profondo di prima. E allora, per metterlo a tacere, cerchiamo nuovi piaceri, vogliamo nuove cose, facciamo tutto quello che può stordirci a sufficienza da non farci sentire quella sensazione di disagio interiore, quella … sete di Dio!

5. ‘Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato'( 38b-39). La frase ‘dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva’ è stata oggetto di una duplice interpretazione: l’interpretazione cristologica che fa leva soprattutto sul collegamento con Gv 19, 34 e l’interpretazione antropologico-ecclesiale. L’acqua viva sgorga da Cristo o dal credente? Non è questo il momento di addentrarci nelle sottili disquisizioni dell’esegesi. Sono persuaso che le due interpretazioni non siano da prendersi in alternativa: Gesù datore dello Spirito accolto dal credente che a sua volta può diventare sorgente zampillante se beve l’acqua che Gesù stesso gli dona. Non solo Gesù invita chi ha sete ad avvicinarsi a lui e bere, ma dice anche che da chi crede in Lui sgorgheranno fiumi d’acqua viva! La rivelazione messianica prevede un duplice momento: chi ha sete venga e beva e fiumi di acqua viva usciranno da lui!  La possibilità di fare ciò è legata però all’opera dello Spirito Santo che, come qui ricorda l’apostolo Giovanni, non era ancora stato inviato. Ciò accadde alla Pentecoste (At1ss) quando i discepoli furono ripieni di Spirito e poterono annunciare la Parola di Dio con potenza. Abbiamo, infatti, bisogno dello Spirito Santo per essere testimoni efficaci di Cristo! (cfr At 1,8 “Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra”). Il cristianesimo non è una religione del ricevere; bensì del ricevere veramente per poter dare veramente. L’immobilismo, la passività, l’ascetismo, l’isolamento, l’egoismo, l’edonismo … godere delle benedizioni che Dio ci ha dato non condividendole con altri non può riguardare il cristiano. Efficace esempio è il Mar Morto, che è un mare chiuso che ha fiumi  immissari, senza avere però alcun emissario