In questo Anno pastorale dedicato alla ‘pedagogia della santità’ mi sono proposto, nelle varie parrocchie della Diocesi dove vengo invitato per presiedere l’Eucaristia in occasione del Santo patrono, di narrare la storia del santo e alla luce della Parola di Dio ricavarne alcune lezioni di vita. In genere la vita dei nostri santi è proprio come diceva San Francesco di Sales: un pezzo di spartito evangelico eseguito da una orchestra capace. Senza i santi difficilmente avremmo potuto capire il Vangelo; sarebbe rimasto ‘libro’, ‘carta’; essi non solo sono i migliori esegeti della Sacra Scrittura, ma soprattutto i migliori ‘esecutori’ di essa; con la loro vita ci mostrano che è possibile vivere la Parola di Dio. Entrando nella loro vicenda, spesso tra storia e leggenda, si impara il buon profumo di Cristo. Ci lasciamo interpellare dalla Parola del Salmo utilizzata come ritornello del salmo responsoriale:
Alle tue mani, Signore, affido la mia vita (cfr. Sal 31,6)
San Biagio è venerato fin dall’antichità come uno dei 14 santi ‘ausiliatori’ , il che significa che è stato tra i santi più venerati e popolari per ben oltre un millennio; la sua storia si trova nella Legenda Aurea, scritta da Jacopo da Varagine intorno al 1260, opera che ebbe grande diffusione nel Medioevo. L’etimologia del suo nome è incerta: è mutilazione della parola greca ‘basiléus’ che significa ‘re’? O dalla parola greca ‘ vlasios’ , dal verbo ‘ vlastano’ che significa ‘ germogliare ‘ e quindi, ‘ vlasios ‘ corrisponderebbe a ‘ germoglio’?. Una bella allusione a quest’ultimo significato si riscontra, p. es., in un inno greco, composto da S. Teodoro Studita: « Tu, Biagio, come indica il tuo nome, sei germogliato nell’esercizio delle virtù divine ». Non manca pure chi lo fa derivare da nomi latini, come ‘blasius’, nome gentilizio d’ età repubblicana, o dall’aggettivo ‘blaesus’, balbuziente.
San Biagio fu vescovo di Sebaste, in Armenia, e martire nel IV secolo, presumibilmente sotto l’imperatore Licinio (307-323). Nella sua città Sebaste, in quella che oggi è l’Anatolia, pare esercitasse la professione medica, successivamente fu fatto vescovo. Rimane una figura misteriosa in quanto si trova, per così dire, in bilico tra la storia e la leggenda: la documentazione storica è labile, ma le testimonianze a suo riguardo, numerose. Il suo culto è molto esteso in Oriente e anche in Occidente dove è documentato fino dai primi secoli: lo speco nel quale si ritirò San Benedetto nel V secolo a Subiaco era presso un luogo di preghiera dedicato a San Biagio.
Inutile tentare di districare i dati storici dalla leggenda di San Biagio: probabilmente il suo martirio avvenne nell’anno 316 e quindi è stato tra le ultime vittime delle persecuzioni che Licinio, nel tentativo di sopraffare Costantino, continuò in Oriente, anche dopo l’editto del 313 che vi aveva posto fine, per trarre dalla propria parte i pagani..
Quando Licinio scatenò la persecuzione dei cristiani nell’Armenia, molti fedeli consigliarono il vescovo Biagio a fuggire e nascondersi; il Santo si ritirò sulle pendici selvagge di un alto monte e visse in una spelonca come un eremita cibandosi di quel poco che trovava e dormendo in un giaciglio di erba e foglie secche. Ora avvenne che gli animali selvatici presero ad andare a quella spelonca e a fermarsi intorno a Biagio: cervi, caprioli, asini selvatici, ma anche belve feroci e serpenti che rimanevano quieti in pace e non si allontanavano finché il Santo non aveva dato loro la benedizione. Col tempo i cacciatori si trovarono costretti a tornare dalla foresta a mani vuote, non avendo visto neppure un animale, tutte le bestie andavano alla grotta di Biagio: gli uccelli gli portavano di che mangiare e lui, che era medico, curava le bestie ferite e malate. Qualcuno alla fine scoprì la ressa degli animali intorno alla grotta dell’eremita e andò a riferirlo all’imperatore che divenne furibondo e mandò una delle sue legioni a prendere il vescovo. Dispersi gli animali, entrati nella caverna, i soldati arrestarono Biagio e lo condussero davanti al tiranno, che lo condannò a morte.
Alle tue mani, Signore, affido la mia vita (cfr. Sal 31,6)
Mentre Biagio veniva condotto alla città per presentarsi al cospetto dell’imperatore si dice che furono più i miracoli compiuti dei passi da lui fatti. Rapidamente si sparse la voce in quella terra che passava il Vescovo prigioniero e molti accorrevano per salutarlo, altri per essere guariti, altri consolati. Per tutti il Santo aveva una parola, un sorriso, una carezza e non pochi si trovarono sanati senza aver chiesto nulla, solo perché Biagio aveva il dono di leggere nel loro cuore.
Accorse anche una donna in pianto, che teneva tra le braccia il figlio morente chiedendo che Biagio lo guarisse: mentre mangiava una lisca di pesce gli si era confitta nella gola e nulla era valso a toglierla e il ragazzo era alla fine. Il vescovo pose le mani sopra il corpo esanime rapidamente la vita ritornò e tossendo il ragazzo sputò la spina e fu sanato. Disse allora Biagio che tutti quelli che l’avessero invocato nelle tribolazioni della malattia avrebbe avuto il suo aiuto.
Incarcerato e maltrattato Biagio fu portato alla presenza dell’imperatore, ma non si piegò all’intimazione di abiurare al suo Dio e onorare le divinità pagane, per cui fu sottoposto a pene e torture. Fu ordinato che fosse straziato con pettini di ferro e così esangue fu riportato in carcere. Il processo continuò e Biagio resistette impavido nella sua fede, per cui fu condannato ad essere annegato in uno stagno. Ma lui, camminando sulle acque, tornò alla riva dove subì il martirio per decapitazione.
Alle tue mani, Signore, affido la mia vita (cfr. Sal 31,6)
Ma cerchiamo adesso di estrarre da storia e leggenda qualche frammento di lezioni di vita.La gola è sicuramente una delle parti più sensibili dell’uomo: nel nostro linguaggio comune è spesso usata simbolicamente: la paura ci blocca la gola, non si riesce più a parlare; alcune persone hanno inghiottito troppo e hanno in gola un nodo di paura, di tristezza e di rabbia che impedisce loro di respirare liberamente. La situazione di necessità per la quale potremmo oggi ricorrere all’intervento di S.Biagio è l’angoscia; l’angoscia provoca strettezza. Il nodo alla gola è l’immagine fisica della strettezza provocata dall’angoscia. Molte sono le paure e le angosce che scuotono oggi le persone: uno ha paura di fallire, un altro ha paura del giudizio degli altri e del loro rifiuto, altri hanno paura della malattia e della morte, altri di restare soli e abbandonati, molti di perdere il lavoro, altri delle guerre e delle armi biologiche, tutti siamo un po’ angosciati dalla crisi economica e dalle sue proporzioni, tutti siamo stati presi dall’angoscia davanti al disastro della Costa Concordia, dei terremoti, delle alluvioni. Come non angosciarsi di fronte a certe immagini di extracomunitari i cui corpi galleggiano nel mare, gli occhi pieni di terrore di tanti bambini, la disperazione di tante madri? E poi, questa esplosione di violenza considerata come strumento per risolvere i problemi, da quelli matrimoniali a quelli della convivenza sociale, a quelli della politica internazionale e mondiale . Non è possibile non definire con il termine angoscia l’esistenza degli uomini in questa società. L’angoscia accompagna la nostra vita quotidiana in tutti i momenti, le tragedie familiari e sociali penetrano nel vivo della nostra coscienza in modo irresistibile. S. Biagio non può liberare da queste angosce, ma mentre riflettiamo sulla sua leggenda, meditiamo la sua storia scopriamo le strade giuste per affrontare la nostra angoscia. La lisca di pesce conficcata nella gola è un immagine azzeccata dell’angoscia. Qualcosa si è bloccato dentro di noi. Quanto più lo tiriamo tanto meno si muove, anzi non facciamo altro che produrre piaghe. Che cosa dobbiamo fare allora? Dobbiamo riconciliarci con la lisca che è bloccata in noi, con la paura che ci prende. La leggenda di S.Biagio ci invita a collocare la nostra angoscia di fronte a Dio, occorre lasciare che il suo sguardo raggiunga la nostra angoscia e questo la relativizza. In tempi di secolarismo imperante, dove si vive come se Dio non esistesse, recuperare la presenza misericordiosa di Dio Padre diventa decisivo per la nostra serenità. Con le candele che alla fine della S.Messa sarà ‘benedetta la nostra gola’, la premura di Dio viene avvicinata al punto della nostra rigidità: il calore dell’amore scioglie ogni rigidità. Se uno sperimenta di essere accettato e toccato proprio la dove è bloccato, sperimenta il dilatarsi di ogni strettezza, la nostra angoscia, personale e sociale, è toccata dall’amore di Dio che la trasforma e la dissolve.
Alle tue mani, Signore, affido la mia vita (cfr. Sal 31,6)
In questo consiste essenzialmente l’angoscia: nell’essere convinti che non ci possa essere un destino positivo per l’uomo e che la vita dell’uomo si riduca a una reazione alle cose e alle persone, una reazione che consente una banale sopravvivenza; qualcuno ha giustamente detto che viviamo in una situazione di ‘banalizzazione’ della vita. E questo è l’altro volto dell’angoscia, il punto in cui l’angoscia diventa mentalità comune. Nel momento in cui Dio in Cristo si avvicina e tocca il punto di rigidità della nostra vita davvero l’angoscia si dissolve. Per questo preghiamo con fede questo caro amico,oggi, in questa solenne Eucaristia.
+ Guglielmo Borghetti, vescovo