In risposta ai due articoli pubblicati su Il Tirreno il 14 agosto e il 1 settembre u.s., nonché ripreso da La Nazione e altre testate locali, ritengo necessario comunicare questa seguente nota di replica.
Riguardo il primo articolo preciso che la chiesa di Sant’Agostino a Santa Fiora non rischia il crollo e che nel corso degli ultimi anni la Parrocchia e la Diocesi – sotto gli occhi di tutti – hanno provveduto con estrema attenzione al restauro di tre chiese a Santa Fiora (Madonna della Neve, San Rocco e Suffragio) e la chiesa della Santissima Trinità alla Selva. Addirittura per le chiese del Suffragio e della Trinità le due Parrocchie non hanno dovuto sostenere nessuna spesa, poiché le imponenti opere di restauro sono state sostenute totalmente dalla Diocesi, in parte con i fondi dell’Otto per Mille e in parte con fondi propri.
Entrando nel particolare, la chiesa di Sant’Agostino è da tempo oggetto di monitoraggio. L’edificio sacro attualmente soffre di notevoli risalite idriche (e non di «semplice» umidità di risalita) dal sottosuolo, segno evidente che sotto tutto il pavimento scorre abbondante acqua. Anche la Soprintendenza di Siena ha effettuato di recente un sopralluogo e ha constatato la gravità del problema, compreso il pericolo di degrado irreversibile che grava sull’antico e bel crocifisso trecentesco conservato nella chiesa e sulle ante d’organo ancora qui esposte, che – anche su indicazione della stessa Soprintendenza – dovrà essere rimosso quanto prima e conservato nella sede ecclesiastica opportuna, nel rispetto degli orientamenti della Chiesa italiana e anche delle leggi dello Stato.
È bene ricordare che per lo Stato italiano le Parrocchie sono «enti» con personalità giuridica, afferenti all’ente sovraordinario quale è la Diocesi e nell’insieme – come Chiesa italiana – tutelati dalla stessa Costituzione. Come tali il parroco ne è il legale rappresentante e amministratore unico (con tutti i diritti e doveri previsti dalla legge), mentre la Diocesi governata dal Vescovo costituisce – diciamo così – l’ente ecclesiastico coordinatore sovraordinato, alla quale la parrocchia è tenuta costantemente a rapportarsi e collaborare con spirito di piena comunione. Pertanto gli edifici sacri con le opere d’arte in essi contenute o pertinenti sono di proprietà ecclesiastica e quindi di nostra unica competenza.
Questa sottolineatura serve anche per rispondere alle recenti pubblicazioni di articoli che presentano prospettive quasi apocalittiche circa gli edifici storici di culto e i beni culturali in genere che si troverebbero in difficoltà quanto al mantenimento e alla valorizzazione, auspicando quasi che la gestione, manutenzione e la valorizzazione siano affidate a persone o enti diversi dalla Chiesa, compresi quelli civili. Tale prospettiva è inutile ribadire che è contraria alle attuali leggi italiane e ecclesiali, e soprattutto al buon senso civico, civile e religioso.
Quanto al secondo articolo di più recente pubblicazione in diverse testate giornalistiche e con evidenti quanto grosse imprecisioni, riferendomi sia all’autore che alle fonti, con carattere di vera e propria accusa di «spoliazione», mostra di non conoscere o di non voler conoscere – a costo di ripetermi – quanto appena precisato. Inoltre il primo responsabile delle opere d’arte di proprietà ecclesiastica è il Vescovo e come tale il Parroco di una parrocchia in spirito di piena comunione ecclesiale e sacerdotale, è tenuto a garantire l’esecuzione piena e concordata delle linee poste per una maggiore tutela e valorizzazione del patrimonio culturale presente nel territorio diocesano.
Parlare – anzi accusare – il Vescovo di «spoliazione» della Pieve o anche di indebita appropriazione, mostra da parte di chi ha scritto gli articoli e delle fonti, da un lato una carente o distorta sensibilità ecclesiale, dall’altro una diversa linea che esula da quelle che potrei definire competenze istituzionali.
Il Museo di Palazzo Orsini, che raccoglie molte opere d’arte provenienti da tante parrocchie del territorio diocesano e che ne sta recuperando ancora molte altre, non è il museo «di» Pitigliano, ma è il museo della Diocesi e non nasce oggi, bensì esiste dalla fine degli anni Ottanta. È un progetto ben preciso, studiato per una continuità nel tempo e che nasce dalla volontà dei Vescovi miei predecessori, con lo scopo di offrire molto di più che una tutela alle opere d’arte presenti nelle parrocchie e che necessitavano di conservazione e tutela. Nasce anche – e poi soprattutto – come luogo di valorizzazione coerente nel tempo del territorio diocesano e delle singole realtà parrocchiali, dove ciascuna qui si può vedere rappresentata al meglio e nello stesso tempo mostrare attraverso l’arte e la cultura, una unitarietà storica e territoriale.
Inoltre il Museo è solo uno dei tre istituti culturali diocesani, insieme all’Archivio Storico e alla Biblioteca San Gregorio VII, destinati a conservare la memoria e l’identità del territorio e della comunità cristiana (ma anche civile) in esso presente da millecinquecento anni.
Di fatto la Diocesi, nella persona del Vescovo, è sempre stata aperta a un dialogo culturale costruttivo e efficace, ma che sia altrettanto sempre indirizzato al maggior bene comune e non di una sola parte. Apertura dialogica e non ideologica che sicuramente si può realizzare non cedendo a pressioni fatte a colpi di penna, o appelli, o cedendo a programmi già predisposti senza tenere conto della proprietà legittima e dei rispettivi ruoli istituzionali.
+ Gianni Roncari, vescovo