‘Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele’
1. ‘Grazia a voi e pace da Gesù Cristo’, carissimi fratelli e sorelle, presbiteri e diaconi, religiose, religiosi, oggi abbiamo anche la presenza delle nostre care Monache Carmelitane del Cerreto, amati seminaristi, cresimandi provenienti dalle varie comunità parrocchiali della nostra bella Diocesi; oggi siamo convenuti a vivere questa Eucaristia così unica, cosi intensa, così solenne, eppure profumata dagli odori della casa, riscaldata dai sentimenti profondi di una famiglia adunata nel Nome della Santissima Trinità! E’ la Messa crismale! In questo Anno della fede, indetto e aperto dall’indimenticabile Benedetto XVI ed ora accolto da Papa Francesco, vi invito a volgere gli occhi della nostra fede verso il Mistero Pasquale di Cristo, Mistero che nei giorni del Triduo Sacro troverà la sua più intensa e drammatica espressione liturgica. Vi invito a volgere gli occhi della nostra fede verso Gesù Cristo, “il testimone fedele”, che ha reso testimonianza a quel Dio che nessuno ha mai visto, né può vedere. Quel “testimone fedele” che ha reso testimonianza al Padre nel corso di tutta la sua vicenda terrena. Quel ‘testimone fedele’ che nel Mistero della sua Pasqua di Morte e Risurrezione si è rivelato come “il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra” (Ap 1,5).
2. Questa espressione, ‘testimone fedele’, del Libro dell’Apocalisse ci aiuterà nella riflessione; i maggiori studiosi di questo libro sacro ci attestano che è uno scritto inviato all’assemblea liturgica per essere proclamato nell’Eucaristia del Giorno del Signore. Dopo l’intestazione, San Giovanni indica i destinatari del suo messaggio: le sette chiese dell’Asia; su di esse invoca ‘grazia e pace’, dono di Dio e frutto dell’amore di Cristo che mediante il proprio sangue ha operato la redenzione. ‘Sette’ è numero sacro nella Bibbia e sta a significare ‘pienezza’, ‘totalità’; per questo il Libro e il suo messaggio sono destinati alla Chiesa e alle Chiese di tutti i tempi, fino al ritorno di Gesù; lo sentiamo oggi ‘parola per noi’, Chiesa di Pitigliano-Sovana-Orbetello.
3. Consapevoli della grazia speciale dell’Anno della fede, sostiamo volentieri sul titolo cristologico di ‘testimone fedele’, -ὁ μάρτυς ὁ πιστός- quasi fosse un’oliva buona e succosa, da frangere e spremere per farne uscire l’olio che unge e fa splendere la nostra vita di discepoli del Signore. L’Apocalisse ama designare Gesù come ‘testimone fedele’ (Ap 1,5;3,14). Non un testimone qualunque, ma «il» Testimone: quello assoluto e unico, da cui impariamo cosa sia la testimonianza, ‘il’ fedele, -ὁ πιστός-, da cui impariamo che cosa sia la fedeltà.
4. Nel Nuovo Testamento il termine μάρτυς , da cui «martire», che letteralmente significa «testimone», non indica, come nell’ uso comune, un cristiano che accetta di subire la morte per testimoniare la propria fede. Neppure sta a significare semplicemente colui che dichiara di avere veduto qualcosa, o qualcuno coi propri occhi. È molto di più. È chi annuncia ad altri quello che ha personalmente sperimentato ed è divenuto la sua stessa vita. Così è stato testimone Gesù. Ugualmente, fra noi suoi discepoli, testimone autentico è chi si è lasciato trasformare la vita dal Vangelo e, con franchezza e libertà, lo annuncia ad altri uomini e donne perché l’accolgano anche loro. Il testimone può dire: «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1,3).
5. Gesù è stato testimone nel segno della fedeltà: è il testimone, è il fedele! Per tutta la sua vita e in tutta la sua vita, dalla sua nascita nell’umiltà sino alla sua ignominiosa morte di croce, Gesù è stato il ‘testimone fedele’; ha vissuto in obbedienza piena, in comunione totale, in adesione assoluta alla volontà del Padre.
6. Gesù come ‘il primogenito dei morti’, si è associato alla nostra morte partecipandone tutta la drammaticità per comunicarci la sua vita di Figlio, come ‘principe dei re della terra’, distrugge, annienta polverizza i ‘poteri forti’, i centri di potere moralmente negativi e corrotti che condizionano pesantemente la storia.
7. Un’assemblea misteriosa che ci rappresenta, a questo saluto risponde: ‘A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!’. E’ un’esplosione di gratitudine per le meraviglie che Cristo ha fatto e fa fedelmente a favore dell’umanità e della sua Chiesa: egli ci ama sempre, senza mai venir meno anche quando veniamo meno noi; ‘ci ha liberati – più propriamente: ci ha sciolti- dai nostri peccati con il suo sangue’, si i peccati sono visti qui come legami che impediscono a noi, popolo regale e sacerdotale, di realizzare la missione da testimoni fedeli, chiamati a impegnare la vita per il trionfo della misericordia del Padre in noi stessi e negli altri.
8. La rivelazione finale della gloria di Gesù distruggerà tutto quello che ci sarà stato di malvagio e si imporrà a tutti coloro che durante la storia lo avranno osteggiato, prolungando la sua crocifissione: ‘Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Si così sia!’. Dio è all’inizio e alla fine della storia della salvezza, è l’alfa e l’omega, noi siamo una delle lettere intermedie: Dio è coinvolto nelle nostre vicende: lo è adesso, lo è stato nel passato lo sarà nel futuro, fino alla conclusione: verrà e saprà mantenere ciò che ci ha promesso.
9. Nel capitolo 2 dell’Apocalisse, Cristo, rivolgendosi al Chiesa di Pergamo, le ricorda il suo vescovo Antipa che per il Vangelo fu messo a morte in quella città, definita’dimora di satana’ (Ap 2,13) e chiama Antipa ‘il mio fedele testimone’; gli attribuisce il suo titolo proprio di ‘testimone fedele’. Chi di noi non vorrebbe meritare per sé queste parole di Cristo? Merita quell’affettuoso ‘mio’ del Salvatore non solo chi è pronto a dare a Cristo la testimonianza del sangue, ma anche chi vive ogni giorno dinamicamente nella fedeltà alla volontà del Padre.
10. Carissimi fedeli laici, carissimi presbiteri, carissimi diaconi, carissime religiose e religiosi: è l’ora della fedeltà dinamica! Se Cristo è ‘il testimone fedele’ è proprio in Cristo che il credente fonda la sua fedeltà come risposta a quella di Dio; le motivazioni profonde della nostra vita debbono radicarsi nella relazione con Cristo, vissuta come assolutamente prioritaria; non basta proclamare la nostra fede in Cristo, la sua accettazione razionale, ma è necessario viverla come rapporto con Qualcuno che è primariamente importante e nei confronti del quale si decide di investire totalmente se stessi avendo scelto Lui come nucleo centrale della propria identità: “radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr. Col 2,7). Susanna Tamaro conclude il suo famoso romanzo: Va dove ti porta il cuore con queste parole, parole che mi sembrano utili per comprendere il senso della fedeltà dinamica: ‘Ricordati che un albero con molta chioma e poche radici viene sradicato al primo colpo di vento, mentre in un albero con molte radici e poca chioma la linfa scorre a stento. Radici e chioma devono crescere in egual misura, devi stare nelle cose e starci sopra, solo così potrai offrire ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e di frutti’: albero, chioma, radici: le radici sono decisive, non si vedono, ma sono quelle che determinano la grandezza di un albero, gli impediscono di crollare, ma l’albero ha bisogno anche della chioma, perché, se non c’è chioma non c’è ossigeno, non c’è ricambio. L’equilibrio di un albero è anche quello della nostra vita: equilibrio tra radici e chioma: la fedeltà si radica nella fedeltà di Cristo e si ossigena nella fedeltà all’uomo e alla sua storia. Per questo non dobbiamo confondere la fedeltà con la fissità! La fissità e la rigidità sono sempre in agguato a denaturare la bella fedeltà del ‘testimone fedele’ e del vero discepolo. Un grande pensatore del ‘900, Paul Ricoeur parla di un’identità dell’idem, del medesimo e di un’identità dell’ipse, del sé; la prima è l’atteggiamento di chi rimane sempre uguale, la seconda è la capacità di restare se stessi cambiando. La fedeltà la inquadriamo spesso nella prospettiva della medesimezza, dovremmo più correttamente porla nella prospettiva della ipseità.
Ci può essere perciò una fissità/medesimezza personale che è rigidità: non cambierò mai idea su questo o quel punto, è una mia convinzione da sempre! Ci può essere una fissità/medesimezza relazionale: con questi, con quello, con quella mai collaborare, mai avere a che fare! Ci può essere una fissità/medesimezza ecclesiale e pastorale: con le altre confessioni religiose, con quel movimento, associazione non si dialoga; così in parrocchia, in Diocesi: si è sempre fatto così! Questa non è fedeltà! La fedeltà non è sinonimo di fissità. La fissità implica mancanza di vita, di divenire, di creatività. Non è la fedeltà di Cristo! Gesù non si è limitato a crearsi il suo percorso e a rimanervi fedele, rigidamente fissato in esso; è entrato nel percorso degli uomini e lo ha condiviso in tutto, modellando la sua obbedienza al Padre nella fedeltà alla storia dell’uomo. Proprio se si è fedeli si cambia! La fedeltà è cambiamento. La fedeltà è creativa capacità di trasformazione; non propongo uno scomposto e insipiente prurito di novità, bensì un atteggiamento si speranzoso impegno, di risposta fedele ai cambiamenti della storia, di attenzione all’ effettiva realtà dell’altro e degli altri, sempre in cambiamento; Dio del resto è fedele sempre per presentarsi puntuale all’incontro con noi, secondo il momento di vita che viviamo. La nostra Chiesa ha bisogno di seguire le orme del suo Signore, fedele a Dio e fedele all’uomo per una rinnovata stagione di evangelizzazione; creativi, impegnati, laboriosi, fedeli al disegno del Padre, fedeli alle esigenze dei fratelli. Troppa staticità ed immobilismo ammorbano i nostri atteggiamenti e le nostre scelte, anche pastorali; siamo troppo sicuri dei nostri orologi fermi, dei nostri percorsi di catechesi, delle nostre iniziative che ci fanno sentire a posto per il solo fatto che le abbiamo ripetute anche per quest’anno, facendo contenta la gente. Occorre un risveglio di entusiasmo missionario, uno scatto di creatività, occorre quella viriditas pastorale per ravvivare il nostro agire da discepoli; in caso contrario la nostra fedeltà/medesimezza, il nostro immobilismo, rigido e pigro, non renderà un buon servizio al padrone della Messe.
Dacci Signore in questo Giorno Santo, per intercessione di Maria, Regina degli Apostoli, la grazia di partecipare alla fedeltà di tuo Figlio per aiutarlo a portare a termine la sua missione! Sarà bello alla fine della nostra giornata terrena, con la fronte splendente del sacro crisma, presentarsi al Signore e sentirsi dire ‘Ecco il mio testimone fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone’ (Cfr Ap. 2,13;Mt 25,23). A tutti un augurio affettuoso di una santa Pasqua!