In un contesto come quello attuale, in cui si è perso l’alfabeto della fede, vedere riunite oltre 600 persone inneggiare ad un dipinto della Madonna viene facilmente bollato – con tono spregiativo – come devozionismo. In il senso religioso del popolo cristiano – dice il catechismo della chiesa cattolica – in ogni tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che accompagnano la vita sacramentale della Chiesa, quali la venerazione delle reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la « via crucis », le danze religiose, il Rosario, le medaglie, ecc… . Il pellegrinaggio al santuario di Montenero, che da decenni connota la vita pastorale delle diocesi di Grosseto e di Pitigliano-Sovana-orbetello è, dunque, uno di quei gesti attraverso i quali ancora oggi si manifesta e si esprime il senso religioso del nostro popolo e nel quale viaggio, cammino, preghiera, confessione, eucaristia e anche il momento più conviviale e fraterno costituiscono tutti elementi di un unico dono: quello di essere Chiesa in cammino.
E’ stato così anche sabato scorso, quando oltre 600 persone si sono mosse da varie parrocchie delle due diocesi e hanno raggiunto il santuario che custodisce l’immagine della Madonna con Bambino proclamata patrona della Toscana. Arrivo, cammino a piedi dal parcheggio dei bus fino al santuario recitando il Rosario, ingresso nella basilica, tempo per accostarsi alla confessione e Messa. Ecco cos’è ogni anno il pellegrinaggio ai piedi della Madonna di Montenero. Gesti semplici, per certi versi ordinari, ripetuti anno dopo anno, che hanno sedimentato nel cuore e nelle consuetudini di un popolo, diventando così una forma di quel senso religioso che nei secoli ha costruito la Chiesa come insieme di battezzati che camminano insieme. E si sale a Montenero – lo ha ribadito il vescovo Giovanni all’inizio della sua omelia – per riconoscere in Maria la madre dell’unica grazia di cui davvero abbiamo bisogno: Cristo, salvatore e redentore. E’ solo riconoscendo questa grazia, “che possiamo chiedere le grazie di cui ciascuno di noi e insieme come popolo abbiamo bisogno”. Perché Maria, “per il suo ministero materno la invochiamo madre delle grazie, cioè madre di quella intercessione che la unisce in modo del tutto particolare all’opera del suo Figlio”. Per questo, “La Chiesa ci insegna che lei è diventata madre nell’ordine della grazia”. E se Maria è “segno di sicura speranza e consolazione”, come recita la liturgia, “quale segno di consolazione chiediamo insieme, ora, alla Madre delle Grazie?”, si è domandato il Vescovo. Che, deciso, ha risposta, a nome di tutti: “Chiediamo il dono della pace, per questo mondo così tormentato. Chiediamo che non venga meno la nostra speranza; che non venga meno la nostra capacità di credere nel dono della pace portata da Cristo: la pace con Dio, prima di tutto, quindi la pace della nostra coscienza; la pace fra gli uomini”.
Il Vescovo ha indicato anche che cosa possiamo fare come singoli e come comunità parrocchiali per custodire il dono della pace in un crocevia della storia così difficile, che sembra renderci impotenti: “chiediamo a Maria di saper vincere la tentazione di rinchiudersi in noi stessi, di non voler vedere…ma di saper godere, invece, la beatitudine evangelica: beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”.
Una concreta occasione per costruire la pace è, ha sottolineato il Vescovo, “domandarsi, prima di tutto, come viviamo noi i nostri rapporti: la pace delle nostre comunità, la pace delle nostre parrocchie, la pace delle nostre terre, la pace con chi ci sta di fronte, la pace nei nostri condomini… questo possiamo farlo! E dal modo di fare nostro deriva una mentalità di pace a cui ci educhiamo”. Un’occasione per fare la pace è, inoltre, “partecipare con la preghiera e con le opere alla caritas parrocchiale”. “Fate quello che potete, ma fatelo”, perché “Colui che ha saputo distinguere, fra tutti i soldi buttati nella cassetta del tempio, l’obolo della vedova certamente non passerà sotto silenzio i nostri piccoli e forse poveri sforzi, ma reali”. Questo “è un modo concreto di onorare Maria, mettendo in pratica le sue parole: fate quello che Egli vi dirà”, ha concluso il Vescovo, che poi, alla fine della celebrazione, a nome di tutti ha innalzato alla Madonna delle Grazie l’atto di affidamento, suggellato dal canto della “Salve regina”, intonato dall’assemblea mentre egli incensiva il piccolo quadro della Madonna col Bambino.
Al termine della Messa, concelebrata da una venticinquina di sacerdoti delle due diocesi, un bel fuori programma: due anziani sposi di Pitigliano, Gabriella e Antonio, che ai piedi di Maria hanno festeggiato 60 anni di matrimonio scambiandosi di nuovo le fedi davanti al Vescovo. Anche questo è un segno di quel senso religioso che sostiene la ferialità del popolo cristiano.
G. D’Onofrio