Anche quest’anno, dal ventinove febbraio al sette marzo, ben cinquanta i fedeli che hanno aderito alla proposta dell’ufficio diocesano pellegrinaggi; guidati dal nostro vescovo Guglielmo, da don Tito Testi e da don Marco Monari, si sono recati in Terra Santa, terra tanto bella quanto controversa. Sono stati molti i luoghi visitati e in cui i pellegrini hanno sostato in preghiera, adorazione, commozione, compreso lo Yad Vashem – il «museo dell’olocauso» – a Gerusalemme.
Innanzitutto il «cammino» è iniziato solennemente a Nazareth, con la Santa Messa presieduta dal vescovo nella basilica dell’Annunciazione, sul luogo dove il mistero dell’Incarnazione ha preso forma e concretezza. Toccante è stata anche l’ora di adorazione eucaristica, la sera di giovedì, sempre nella basilica, davanti alla Grotta e alla casa di Maria, animata dai giovani della parrocchia.
Un altro momento che ha particolarmente segnato il pellegrinaggio, è stata l’ascesa e la sosta sul monte Tabor, dove sfidando il freddo intenso il gruppo si è fermato a contemplare l’evento della Trasfigurazione, prendendo coscienza che l’ultima «trasfigurazione» del Signore è proprio la Chiesa pellegrina nel tempo e nella storia. Ogni figlio di Dio «cristificato» nel Battesimo, nel segno dell’unità della Chiesa, diviene parte dell’evento visibile della presenza del Risorto. Una visibilità diversa, certo, ma pur sempre reale ed efficace.
Anche i luoghi santi intorno al Lago di Galilea hanno lasciato il segno. Come non ricordare che qui sono state proclamate da Gesù le Beatitudini; che a Cafarnao il Maestro aveva la sua dimora, predicava, guariva e liberava; che a Tabgha consegna agli apostoli i dodici canestri con i pani e i pesci avanzati, affinché continuassero a distribuirne agli affamati di tutti i tempi; ancora a Tabgha consegna a Pietro e ai suoi successori la Chiesa che stava per nascere nel Cenacolo, dopo aver rassicurato tutti placando le onde del lago, simbolo della vita e del mondo scosso dalle tempeste dell’animo umano insoddisfatto, dicendo: «Non abbiate paura! Ci sono io!».
E poi giù, i pellegrini hanno disceso la grande depressione del Giordano, che arriva a toccare i quattrocento metri sotto il livello del mare, nei pressi di Gerico. Proprio qui Giovanni ha battezzato Gesù e qui il Padre per la prima volta ha presentato «di persona» al mondo il Figlio prediletto. Finalmente la risalita verso Gerusalemme, la città santa. La prima sosta è avvenuta in pieno deserto, godendo di uno spettacolo mozzafiato, tra le gole e i «canyons» che con il loro assordante silenzio, testimoniano che lì, dopo il battesimo, Gesù ha digiunato quaranta giorni tentato dal demonio. La visita, poi, al monastero di San Giorgio in Kossiba, arroccato sulle rocce del deserto, ha segnato la conclusione della giornata.
Poi ancora in viaggio, verso Betlemme (foto) dove l’Annunciazione e il sì di Maria hanno permesso al mondo di vedere la gloria di Dio trasfigurata nella debolezza della carne umana. Nonostante le snervanti attese, i pellegrini hanno potuto toccare e inginocchiarsi sul luogo della nascita del Figlio di Dio. Proprio a Betlemme, dove per capire l’intelligenza deve farsi umile, altri tre segni importanti, tra tanti altri, hanno sottolineato questa necessità della fede. Nella persona della direttrice della Caritas diocesana, Marcella Friz, la diocesi ha consegnato tre importanti contributi raccolti dalle parrocchie. Il primo è andato alle adoratrici perpetue fondate dalla beata Maria Maddalena dell’Incarnazione (Caterina Sordini), nata a Porto Santo Stefano nel 1779; il secondo contributo è andato alla casa di accoglienza per bambini handicappati e abbandonati, retta dalle suore della Parola Incarnata, che ospitano e curano ormai oltre trenta piccoli sfortunati; infine il terzo contributo è stato consegnato all’ospedale pediatrico della Caritas.
Altri momenti e luoghi importanti hanno dato sosta al cammino dei nostri pellegrini a Gerusalemme. Il monte degli ulivi con i suoi santuari, dall’ascensione al Gethzemani; il monte Sion, luogo della «madre di tutte le chiese», ovvero il Cenacolo. Poi è stata la volta della città vecchia, con la spianata delle moschee, il muro ovest del tempio (cosiddetto muro del pianto), il suq e il quartiere ebraico. Ma soprattutto, il cuore ha toccato il culmine quando, a partire dalla chiesa di Sant’Anna, è stato iniziato e terminato l’ultimo percorso di Gesù e dei pellegrini: la Via Crucis e il Santo Sepolcro. Proprio nel luogo dove Gesù è stato spogliato delle vesti, crocifisso e deposto nel sepolcro, l’attenzione e la commozione si sono aperte una strada nell’animo e nel cuore di ognuno. Al mattino presto – alle sei – i nostri pellegrini, con i sacerdoti, hanno celebrato la Santa Messa sopra la pietra dove Gesù ha trovato l’ultimo riposo e dove si è «risvegliato» per essere con noi, vivo, tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Quel luogo piccolo, angusto, buio, che ogni giorno vede migliaia di piedi e di mani che entrano ed escono, ancora una volta ha richiesto il silenzio per capire, la disponibilità per accogliere e occhi diversi per vedere e credere. Ed è stata proprio la «disponibilità», uno dei temi fondamentali che il vescovo ha proposto. Disponibilità a lasciarsi inondare dallo Spirito, educare dalla Parola, rafforzare dall’esperienza di fede: tre eventi che sono indissolubilmente congiunti. Disponibili e liberi, quindi, per fare ma anche disponibili a lasciarsi fare, continuamente, per essere cristiani esemplari e credibili nella testimonianza.
Come recitano gli ebrei della diaspora al termine del «Sedèr» pasquale, anche per la diocesi l’augurio è lo stesso: «Hashanah haba’ah b’yerushalaim», l’anno prossimo a Gerusalemme!
M.M.